prodotti tipici

Le produzioni tipiche gastronomiche di Gubbio e del comprensorio sono legate al territorio, hanno radici antiche che godono di una tipicità storicizzata e tuttavia non cristallizzata che sa offrire interpretazioni nuove della tradizione. La cucina tradizionale, che deriva dalla cultura contadina, è strettamente legata ai prodotti della collina e della montagna e si caratterizza per piatti molto semplici che non richiedono quasi mai tempi di preparazione lunghi e operazioni complicate; per questo essa va ricercata e trovata sul luogo, per poterla apprezzare nella sua pienezza e nel suo contesto di origine. anche per comprenderne le motivazioni culturali.

i salumi

L’allevamento suino è da sempre un’attività portante dell’economia locale, tanto che antiche note settecentesche parlano della “mortadella di Gubbio”, dei “prosciutti di Pascelupo” (Comune di Scheggia), del “ciauscolo” dei conventi (salame con grasso macinato), dei salami, dei cotechini, delle salsicce fine e grosse, della lonza o “lombetto”. E’ il racconto di una tradizione che si conserva nel modo di condurre l’allevamento e nella grande perizia della manipolazione e stagionatura delle carni, con tecniche e modalità tutte artigianali che portano a produzioni di eccellenza. La porchetta al forno, con aglio, pepe e finocchio selvatico, i fegatelli allo spiedo, imprigionati tra una foglia di alloro ed un dado di guanciola, i mazzafegati, tipiche salsicce di fegato con qualche pinolo ed uva passa, le salsicce cucinate alla brace o in umido con i fagioli o accompagnate con la polenta stratificata sulla “spianatora”, una tavola di legno da cui direttamente mangiano i membri della famiglia e gli ospiti in un vero ecumenismo della mensa. Oltre a questi, abbiamo anche i cotechini a Natale e Capodanno, i salami, la lonza, il capocollo, la pepata guanciola, la pancetta arrotolata, il prosciutto.  Tutti questi salumi, tra due fette di pane, rappresentano da sempre un riferimento sicuro per giovanili merende od in occasione di scampagnate, oltre che un’immancabile presenza nel piatto degli antipasti, serviti da soli con crescia o torta di Pasqua. Pretendete però il salame tagliato a fette spesse, perchè con quelle trasparenti, che sono il trucco utilizzato per dare l’illusione della quantità, non ne sentirete mai davvero il gusto. Di questi sapori antichi vanno fiere le macellerie della città, che spesso producono i salumi direttamente.

il tartufo e funghi

In queste zone il sottobosco è generoso per chi sa conoscerlo: teneri getti primaverili d’asparago selvatico dal sapore intenso e le cimette di vitalba per le frittate, le fragoline di montagna, le bacche del ginepro senza le quali il patè di rigaglie di pollo e cacciagione sarebbero un insipido pastone, le more ed i frutti della rosa canina per le conserve, i funghi nella loro grande varietà di specie, adatte per il consumo fresco o per la conservazione.

Ma soprattutto sono i tartufi, che scatenano le maggiori fantasie culinarie. La palma della bontà e qualità spetta al raro, prezioso tartufo bianco eugubino che matura in autunno, subito seguito, come illustre compagno di viaggio verso la mensa, dal tartufo nero pregiato. In primavera il bianchetto o marzuolo, poi lo scorzone nel periodo estivo permettono che in quasi tutti i periodi dell’anno si abbia la possibilità di gustare piatti al tartufo. I prodotti agroforestali, danno vita ad un’attività conserviera specializzata nella produzione di tartufo al naturale, di marmellate, salse tartufate, ai funghi e piccanti, creme di funghi ed olive, grazie ai quali è possibile portarsi a casa… un ricordo dei profumi e dei sapori di questi luoghi.

le carni e i formaggi

I prati in fioritura con le piante aromatiche della santoreggia, timo serpillo, mentuccia, finocchio selvatico, pratolina, gallio e le altre erbe montane trasmettono alle carni ed al latte tutti i loro odori e sapori. Tutte le forme di allevamento si avvalgono dei foraggi locali e delle modalità tradizionali di gestione dell’allevamento. Questo ha permesso il costituirsi del Consorzio Produttori di Carni di Qualità dell’Eugubino¬Gualdese, con l’acquisizione di un marchio diventato certificazione; spesso i produttori hanno anche rivendite al dettaglio.
Ampio anche il capitolo dei latticini, sia di mucca che di pecora: la caciotta dolce di mucca, di pecora e mista, il pecorino semiduro ed invecchiato dal sapore deciso, l’unico adatto per concludere un pasto ed inarrivabile nell’accoppiata con le fave fresche, a cui si sono aggiunti il pecorino di fossa, frutto di una recente sperimentazione ben riuscita, il
“roccaccio”, una riserva speciale con 11-18 mesi d’invecchiamento ed il formaggio al tartufo nero.

i legumi e l'olio

Suoli ricchi, buona esposizione e clima sono determinanti per i legumi la cui produzione è sempre stata varia, ricca ed oggetto di forte attenzione per il valore nutrizionale. Fave, ceci (con le varietà rossa, nera e bianca), fagioli neri e dall’occhio, cicerchie e saporose lenticchie, sono in molti casi il frutto di un recupero di produzioni agricole che erano state parzialmente dimenticate. Oggi, del tutto rivalutati dalla dietetica, i legumi tornano ad occupare il ruolo nutrizionale che loro spetta e quale hanno storicamente sempre avuto, diventando anzi un punto di forza delle coltivazioni condotte secondo criteri biologici, come avviene in diverse aziende del Comprensorio.

Classica è la zuppa di cicerchie, insaporita in un soffrittino di lardo, aglio, salvia ed un’ombra di conserva o di polpa di pomodoro. Sul fondo della scodella, pane casareccio raffermo, leggermente abbrustolito ed un filo d’olio sopra. Preferibilmente olio locale che un’attenta coltivazione prima, poi un trattamento e spremitura delle olive al tempo opportuno, pongono tra gli extravergini caratterizzati da un’elevata qualità organolettica. Tra le varietà di olive si evidenziano la moraiola, la borgiona e la nostrale di Rigali, tipica dell’area di Gualdo Tadino, che è nota in campo agronomico per possedere una particolare resistenza alle condizioni climatiche avverse ed alle basse temperature.

Piatto devozionale e propiziatorio di fine anno nelle campagne, era una zuppa fatta con un pugno di tutti i cereali grano, orzo, farro e dei legumi dell’orto ceci, fagioli, fave, cicerchie, l'”imbrecciata”, che oggi viene riproposta incontrando il favore degli appassionati di cucina tradizionale; per condire la zuppa un soffritto con olio, ma meglio un battutino di lardo, cipolla, maggiorana, uno schizzo di conserva.

la crescia e il brustengo

i nostri sostituti del pane

I cereali sono prodotti da millenni nella nostra zona: grano, orzo, avena e, recentemente riscoperto, il farro, prodotto con metodi biologici da aziende dell’area del Monte Cucco.

Pianta rustica, è il cereale più antico pervenuto fino ai nostri giorni ed il solo che veniva coltivato nelle aree interne prima della comparsa del grano tenero. Esso viene menzionato nelle offerte sacrificali descritte nelle sette Tavole Eugubine del II-III secolo a.C. che riprendono gli antichi rituali del popolo umbro e dove troviamo anche le prime attestazioni di un particolare tipo di focaccia la “Mefa”, antenata dell’attuale “crescia” ottenuta molto semplicemente con farina, acqua, bicarbonato e cotta su un disco, un tempo di pietra, arroventato alla fiamma del camino, il “panaro”; oggi si trovano soprattutto in metallo, da usare anche sui fornelli.

La crescia si gusta al suo meglio nelle trattorie, da sola, tal quale, purché non sia rammollita, ma con la crosta croccante o farcita con praticamente qualsiasi cosa, dalla caciotta ai salumi; sicuramente è eccezionale con la farcitura più povera, quella dell’erba campagnola di primavera, amarognola ed aromatica, rifatta in padella.

Altra preparazione poverissima, subito al di sotto c’era solo la fame più nera, è il brustengo: per farlo infatti basta solo un pugno di farina e molta acqua, in modo da avere un impasto piuttosto liquido, che viene fritto distribuendolo a cucchiaiate, in una padella di ferro, nello strutto bollente. La sottile pasta veniva tenuta al fuoco fino ad assumere un colore dorato, mentre la famiglia sedeva in attesa intorno al tavolo, perché il brustengo è ottimo solo caldissimo e croccante.

pasta fatta a mano

Dalla farina con piccole aggiunte e variazioni, nascono tanti dei piatti tipici più gustosi della nostra zona: uova e farina in un impasto amalgamato e reso elastico dal moulinex delle braccia e tirato col mattarello, il “rasagnolo”, diventano tagliatelle, pappardelle, sfoglia da lasagne, tagliolini, squadruccioni per la minestra di fagioli, i bigoli di Costacciaro (sono degli spaghettoni), gli strozzapreti eugubini (gnocchi di sola farina), ma anche la più povera pasta “tutta staccia” di farina non setacciata che, quanto perde in uova, guadagna in sapore col cruschello che rimane nell’impasto. Un piatto del tutto a sé, che recupera il pane secco adatto solo da grattugiare, nobilitandolo però con l’uovo, il ricco parmigiano ed una grattatina di noce moscata e di scorza di limone, sono i passatelli. Il ferro rotondo a due manici ed una serie di fori attraverso i quali per pressione si trafila l’impasto, non mancava mai nell’attrezzatura anche delle famiglie più povere; gran piatto della tradizione, sono il banco di prova di ogni cuoco perché, anche dopo cotti, dovranno mantenersi interi, ma sempre morbidi. Di rigore mangiarli cotti in un brodo ricco, senza cadere nella trappola di chi li presenta asciutti. Certo, è tutt’altra cosa quando si può disporre di carne per i ripieni, per le grandi occasioni familiari, le ricorrenze e le festività natalizie. Allora nascono i cappelletti, corposi, nella loro forma a cappello di curato di campagna, con cupola e bordo spesso.

Pane e torte salate

Accanto al pane comune, non salato, come quello della vicina Toscana, ce ne sono alcuni tipici legati alla disponibilità stagionale dei prodotti della terra: il torto di Scheggia (una schiacciata che recupera i resti della pasta lievitata del pane conditi con olio o strutto e sale), il pancaciato di Casacastalda, la ricca crescia di Pasqua al formaggio, la cui presenza è tradizionale nella colazione pasquale in connubio con il salame, le cresciole con i “ciccioli” di maiale (magrissimi resti carnei derivanti dalla filtratura dello strutto, abbrustoliti), i panetti di grano e granturco gradevolmente gialli e molto saporiti.

i dolci

Nel comprensorio quasi ogni località ha conservato un proprio ricettario di dolci i quali, pur nella diversità dei sapori, sono molto semplici avendo come ingredienti di base farina, lievito, poco zucchero o miele, pinoli, semi di anice, uva passa. Ma sono spesso le piccole varianti locali, i “trucchi” della ricetta, l’odore di limone, l’aggiunta di latte o di una noce di burro o di strutto, il tempo di lievitazione, la temperatura della cottura, magari la sola forma, a fare la differenza. Sovrano è da sempre il ciambellotto, adatto per tutte le occasioni, le ciambellette all’anice tradizionali del giorno di Venerdì Santo, quando venivano esposte fuori del negozio infilate su un ramo a forcella ed i bambini le trasferivano nel proprio braccio, la torta dolce di Pasqua con uvetta, canditi ed una ricca glassatura, le fave dei morti, i biscotti col mosto in ottobre, i tortelli all’anice ed il Pan di Scheggia (biscottini con uvetta), i tozzetti con mandorle a pezzi. Ma a carnevale unici dolci sono le gonfie castagnole e la cecerata, stessa pasta ma tagliata a dadini che, friggendo, gonfiano appunto come ceci e vengono poi ricoperte dal miele. A mezza Quaresima la Vecchia, un dolce carico anche di significati antropologici, con la sua sagoma di donna, che è tipicamente fatta con “pasta di lievito” riempita con crema o marmellata. E’ quasi un rito il momento in cui viene “segata” in mezzo al tavolo alla fine del pasto, con un effetto di abbondanza quando fuoriesce la dolce farcia, mentre si tagliano i pezzi per i commensali.

ORARI E COME ARRIVARE

Evento all'aperto

Venerdì 29 Ottobre: 9.00/20.00

Sabato 30 Ottobre: 9.00/20.00

Domenica 31 30 Ottobre: 9.00/20.00

Lunedì 1 Novembre: 9.00/20.00

*Gli orari potrebbero variare in base al meteo
Gubbio (PG) - Piazza 40 Martiri